Galileo Andrea Maria Chini nasce a Firenze il 2 dicembre 1873 da Elio, sarto e suonatore di flicorno come Leto, e da Aristea Bastiani.
Nel 1884 rimane orfano del padre e inizia a lavorare tentando diversi mestieri e frequentando contemporaneamente le scuole serali.
Dal 1885 lavora con lo zio Dario, decoratore e restauratore di affreschi, e i suoi primi lavori sono per il castello Torlonia a Serra di Brunomonte in Umbria.
Dopo la morte della madre lo zio Dario gli fa seguire i corsi di decorazione alla Scuola d’arte di Santa Croce a Firenze.
Nel 1889 entra in contrasto con la famiglia dello zio e abbandona la bottega, andando a lavorare in quella di Amedeo Bontempo, un decoratore specializzato in fiori.
Nel 1890 torna a lavorare con lo zio e con lui partecipa ai restauri della chiesa di Santa Trinità a Firenze.
Stimolato dall’amico Giulio Bargellini, si iscrive alla scuola libera di nudo all’Accademia di Belle Arti di Firenze che, pur frequentando saltuariamente, gli consente di conoscere artisti come Libero Andreotti, Giuseppe Graziosi, Plinio Lomellini, Ludovico Tommasi. Frequentando il circolo degli artisti fa amicizia con Roberto Papini, Sem Benelli e, successivamente, con Telemaco Signorini.
Nel 1894 collabora con Augusto Burchi, uno dei più famosi pittori decoratori fiorentini dell’epoca, il quale gli affida l’ideazione di uno dei soffitti del palazzo Budini Gattai.
Nel 1895 lavora per suo conto decorando alcuni edifici nel Mugello, a Siena, nel senese, a Marradi, Vicchio e Volterra, dove conosce Elvira Pescetti che diverrà sua moglie il 22 aprile 1899. La primogenita, Isotta, nascerà nel 1900 e un secondo figlio, Eros, nel 1901.
Nel 1896 inizia a collaborare con la rivista Fiammetta per la quale realizza una serie di otto illustrazioni; comincia a occuparsi anche di pittura di cavalletto e all’inizio del 1897 assieme agli amici Vittorio Giunti, Giovanni Montelatici e Giovanni Vannuzzi, rileva una piccola manifattura fiorentina di ceramiche che stava per chiudere, fondando L’arte della ceramica, con sede in via Arnolfo, e sala di vendita in via Tornabuoni. Il marchio (foto) è una melagrana stilizzata con le iniziali A.D.C. oltre alla F di Firenze, con due manine intrecciate. Poco dopo si unisce alla ditta anche il cugino Chino.
Nel 1897 dipinge il ritratto della sorella Pia e termina la decorazione della cappella Ficozzi in Santa Trinità a Firenze, rimasta incompiuta per la morte dello zio Dario. In questi anni lavora anche a documentare, con il Corinti e altri disegnatori, l’antico centro di Firenze: a Galileo si devono alcune delle più fedeli e riuscite copie come la volta della sala dell’udienza nella residenza degli Oliandoli, la decorazione di palazzo Catellini in via dei Cavalieri e le storie della regina Isotta in una delle case dei Teri in piazza degli Agli.
Nel 1899 dipinge una straordinaria Marina versiliese; fra il 1900 e il 1901 realizza il ritratto della moglie e un suo celebre autoritratto. Dipinge anche un quadro a olio su tela di vaste dimensioni, La quiete, opera con la quale partecipa nel 1901 alla Biennale di Venezia, dove tornerà più volte con varie opere, occasione nella quale si cimenta nella grafica e nella cartellonistica con un manifesto pubblicitario per l’Arte della Ceramica.
Nel 1903 inizia a decorare pareti e soffitti del palazzo di Pistoia della Cassa di Risparmio di Firenze e dell’Hotel Pace di Montecatini e partecipa alla decorazione e all’arredamento della sala toscana alla Biennale.
Nel 1904 abbandona l’Arte della Ceramica che si era appena trasferita in via Settignanese presso Fontebuoni, in contrasto con il principale dei soci, il Conte Giustiniani.
Nel 1905 dipinge il suo autoritratto con cappello bianco.
Nel 1906 esegue decorazioni per la Cassa di Risparmio di Arezzo, arreda la sala della Giovane Etruria all’Esposizione di Milano, inizia a disegnare vignette per il Giornalino della Domenica.
Il 1906 è anche l’anno in cui realizza i primi lavori per il Cimitero Monumentale della Misericordia dell’Antella, dove dipinge con lo zio Leto la volta della cappella di Santa Matilde (foto) e decora, ritengono alcuni studiosi, la cappella della principessa Matilde Carafa con un Volto di Gesù e un Battesimo di Gesù, opere che non sono più visibili, andate perdute per sempre.
In questi anni, in collaborazione con l’architetto Giovanni Michelazzi, si dedica alla decorazione di numerose ville fiorentine.
In società con i cugini Chino e Pietro, fonda la Manifattura Fornaci San Lorenzo, Chini e C. Borgo San Lorenzo, Ceramiche e vetri d’arte (nella foto il logo), diretta da Chino e con Galileo direttore artistico, la cui attività durerà fino ai bombardamenti del 1943.
Nel 1907 collabora alla sala L’Arte del Sogno per la Biennale, dove espone anche un pavimento in ceramica col cugino Chino.
Nel 1908 si cimenta come scenografo realizzando le scene per la Maschera di Bruto di Sem Benelli. Nello stesso anno riceve il primo incarico d’insegnamento: la cattedra per le arti decorative pittoriche all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Nel 1909 affresca la sala della cupola all’ingresso principale della Biennale, raffigurando i periodi significativi della civiltà e dell’arte attraverso otto episodi: le origini, le arti primitive, Grecia e Italia, Arte bizantina, dal Medioevo al Rinascimento, Michelangelo, l’impero del barocco, la civiltà nuova. Prepara anche le scene, i costumi e i manifesti pubblicitari per la prima, all’Argentina di Roma, della Cena delle beffe benelliana; cura, inoltre, le scene per il Sogno di una notte di mezza estate sempre per lo stesso teatro.
Nel 1910 riceve l’incarico da parte del Re del Siam Rama V Chulalongkorn (1868-1910), che aveva ammirato la decorazione della cupola alla Biennale del 1909, di decorare il palazzo reale di Bangkok allora in avanzata fase di costruzione su progetto di un gruppo di architetti, tra cui, alcuni italiani, Rigotti e Tamagno,e di ingegneri Allegri e Gollo; lavora alla sistemazione del padiglione italiano all’Esposizione Universale di Bruxelles, prepara le scene per L’Amore dei tre re, sempre di Benelli, e quelle per l’Orione di Ercole Morselli.
Nel cimitero dell’Antella affresca la cappella San Guido e dipinge e decora la cappella gentilizia Barocchi, progettata dall’architetto Ugo Giusti, con il quale intrattiene rapporti d’amicizia.
Nel 1911 partecipa alle esposizioni celebrative di Roma, di Torino e di Firenze e lavora di nuovo al cimitero dell’Antella incaricato di dipingere la cupola del nuovo ingresso principale con una doppia corona di angeli, e di decorare il sottoportico e i relativi sottopassaggi, oggi imbiancati.
Nel 1911 riceve l’incarico ufficiale per l’insegnamento della decorazione pittorica all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Ad aprile s’imbarca a Genova sul piroscafo NDL Derfflinger diretto a Singapore e da lì a Bangkok dove lo accoglie il Re Rama VI, nuovo re del Siam, figlio e successore di Chulalongkorn morto nel 1910.
Il giovane re si circonda di architetti, ingegneri, scultori, pittori, perfino musicisti e gioiellieri italiani. Vuole modernizzare il paese per preservarlo dal dominio coloniale. Nella Sala del Trono (Prah-ti-Nam), Galileo si trova a lavorare con l’ingegnere Carlo Allegri e l’architetto Annibale Rigotti: dipinge tre mezze cupole, una grande lunetta e la grande cupola dello scalone, dove putti classicheggianti si alternano a corpi michelangioleschi, allegorie rinascimentali, e a trionfi floreali; dirige inoltre i lavori di decorazione in altre parti dell’edificio, realizza una serie di ritratti per la famiglia reale e per i suoi dignitari, e ha modo di assistere ai fastosi festeggiamenti per l’incoronazione del re.
Galileo cerca di far assegnare alla Manifattura l’appalto per il rivestimento in ceramica del palazzo reale ma l’affare non va in porto a causa della grave malattia che nel dicembre 1911 colpisce Chino e che di conseguenza mette in crisi la produzione della fabbrica. Rimane in Siam fino all’agosto del 1913, salvo un breve rientro in Italia nel 1912 per una malattia della moglie, che si aggiunge a quella del cugino Chino.
Il soggiorno in oriente arricchisce Galileo di impressioni, immagini, sperimentazioni che si riflettono sui suoi lavori, a cominciare da una serie di quadri realizzati proprio in Siam: Canale a Bangkok e Tramonto sul Me-Nam del 1912, Plenilunio sul Me-Nam e Fine d’anno cinese a Bangkok del 1913.
Alla Biennale di Venezia del 1914 partecipa con una sua personale di quindici impressioni d’Oriente e con numerosi vasi di ceramica e di grès; cura l’allestimento del salone centrale con diciotto pannelli a tecnica mista – realizzati in soli diciassette giorni – nei quali, mescolando le influenze orientali col modello klimtiano, ottiene uno dei più alti risultati del modernismo in Italia.
Nel 1915 al Fosso dell’Abate, oggi Lido di Camaiore, si fa costruire una casa delle vacanze, sua residenza preferita destinata a diventare luogo di ritrovo di personalità artistiche del tempo come Giacomo Puccini, Sem Benelli, Grazia Deledda, Eleonora Duse.
Nel 1917 pubblica il manifesto Rinnovando rinnoviamoci, sottoscritto da un gruppo di artisti che propagandano l’abolizione delle Accademie e l’instaurazione di scuole artistiche industriali per rinnovare ogni forma di arte applicata; in questo anno inizia a collaborare con il teatro pucciniano per il quale crea diversi ambienti del Trittico – Tabarro, Gianni Schicchi, Suor Angelica –, ma alcune divergenze non fanno accogliere i bozzetti del Tabarro così che in prima al Metropolitan di New York, nel 1918, vanno solo le scene del Gianni Schicchi.
Nel 1918 dipinge il salone del palazzo comunale di Montecatini.
Durante la Grande Guerra si dedica anche a realizzare vetrate per chiese nonché mosaici per cappelle cimiteriali.
Nel 1919 dipinge fra l’altro la Sepoltura dell’eroe per l’Associazione Nazionale Famiglie dei Caduti e Dispersi in Guerra, un trittico di grande dimensione che realizza in ventisette ore di lavoro nel mese di gennaio, annotate in dettaglio sul retro della tela, opera che dal dicembre 2011 è esposta nella Salone d’onore della Misericordia di Antella, detta Sala del Corpo Generale, alla quale l’Associazione l’ha affidata in comodato.
Col dopoguerra, riaprendo la Biennale, Galileo presenta, nel 1920, tre suoi dipinti e decora il salone centrale con una serie di pannelli.
Fra il 1920 e il 1923 lavora a Salsomaggiore alla decorazione delle Terme Berzieri.
Nel 1921-22 lavora nel bergamasco a villa Scalini di Carbonate.
Nel 1923 riprende a collaborare con Puccini per la Turandot con tre serie di bozzetti e nel 1924 realizza le scene per Manon Lescaut.
Negli anni fra il 1920 e il 1925 si interessa alla storia della marineria dedicandosi a dipingere enormi pannelli per soffitti e pareti di navi come la motonave Augustus, e il piroscafo Ausonia.
Nel 1926 torna a lavorare a Salsomaggiore, nel Grand Hôtel des Thermes, dove cura l’allestimento del salone moresco, la sala delle cariatidi e la taverna rossa; sempre a Salsomaggiore lavora a decorare villa Fonio, l’Hotel Porro, l’Hotel Valentini. Lavora anche a un ciclo decorativo a villa Donegani sul lago di Como. Dipinge a olio Adamo e Eva.
Nel 1927 si dedica alla pittura naturalistica dipingendo nature morte, alcuni nudi e scorci paesaggistici della Versilia.
Nel 1928 lavora a Viareggio al soffitto del Caffè Margherita e nel 1929 affresca il salone della Camera di Commercio di Pisa e il palazzo della Provincia di Livorno dove tiene anche una personale.
Nel 1930, nel cimitero della Misericordia di Impruneta, dipinge la cappella Paolieri nella quale Ferdinando Paolieri (1878-1928) era stato sepolto due anni prima. Espone ancora alla Biennale di Venezia.
Nel 1931 organizza una personale a Parigi, occasione nella quale dipinge i Campi Elisi e Piazza della Maddalena. Espone sue opere in molte altre occasioni.
Nel 1933 dipinge un autoritratto e, per il cimitero dell’Antella, disegna il cartone preparatorio di una grande vetrata destinata alla cappella San Benedetto.
Nel 1935 decora il Caffè Doney a Firenze.
Nel 1937 si dedica alle scene per la Cenerentola di Rossini in programma alla Scala di Milano.
In occasione della visita di Hitler a Firenze il 9 maggio 1938, il Ponte Vecchio viene rimbiancato e riverniciato, e Galileo protesta con i fascisti, unico artista palesemente dissenziente.
Il 10 ottobre 1938, per limiti di età, abbandona l’insegnamento all’Accademia di Firenze.
Nel giugno 1939 per indegnità e antifascismo viene radiato dalla Accademia del Disegno; verrà riammesso soltanto nel novembre del 1946.
Nella prima metà degli anni Quaranta espone sue opere a Bergamo, Brescia, Düsseldorf, Firenze, Genova, Lucca, Milano, Trieste, Viareggio: i paesaggi e le figure si caratterizzano per le tonalità più scure, il disegno è segnato spesso col nero. Col dopoguerra diminuisce notevolmente l’attività pittorica per via di un disturbo alla vista che inesorabilmente lo porta verso la cecità.
Nel 1945 dona al Comune di Firenze una serie di dipinti che rappresentano vedute di zone della città distrutte nel corso della guerra.
Nel 1946 la morte della amata figlia Isotta lo induce a tornare a lavorare nel cimitero dell’Antella dove, all’esterno della cappella San Silvestro dipinge la lunetta col santo, e all’altare le Pie Donne ai piedi della Croce, fra le quali raffigura con un colore sgargiante rispetto al nero delle altre donne, di spalle, la giovane figlia, che viene sepolta in questa cappella, così come accadrà 10 anni dopo per lo stesso Galileo e dopo altri 10 anni anche per la moglie. Non vuole compensi dalla Misericordia e forse è proprio per questo che nel 1953, con deliberazione del 15 ottobre, il Commissario Prefettizio delibera di “concedere al Prof. Galileo Chini, in riconoscimento dell’opera da lui prestata in altri tempi nel Cimitero, un compenso a forfait di L. 85.000”.
La sua pittura già si scurisce, arrivando a esiti espressionisti come nell’Autoritratto del 1947, e la sua carriera pittorica termina in un cupo simbolismo che recupera temi affrontati in gioventù.
Nel 1950 Galileo prende a annotare i ricordi della sua vita su un quaderno, ma d’agosto decide di dettarli alla moglie Elvira a causa della vista.
Nel 1951 espone all’Esposizione Internazionale d’Arte Sacra a Roma, dipinge La Preda, E cammina cammina, Vittime e eroi. Nel 1951, e l’anno successivo, Firenze gli dedicò una retrospettiva.
Nel 1952 dipinge Sul Calvario, nel 1953 L’ultimo amplesso, nel 1954 Follia macabra, il suo ultimo quadro. Espone ancora a Roma, per la Mostra d’Arte contemporanea, e nel 1954 a Bogotà.
Nel 1955 dona al Museo di Etnologia di Firenze la sua preziosa collezione di cimeli siamesi e orientali; l’Accademia del Disegno lo elegge Accademico Emerito. Nel 1956 espone in Colombia.
Galileo muore a Firenze nella sua casa di via del Ghirlandaio alle ore 18 del 23 agosto 1956, decidendo di tornare per sempre all’Antella per riposare accanto all’amata figlia.
Galileo Chini è stato un artista poliedrico, versatile, imprevedibile, sicuramente tra i pionieri del Liberty in Italia, della fine Ottocento inizi Novecento. Si è dedicato con passione all’arte della ceramica, partecipando all’abbellimento di facciate in molti palazzi e ville italiane e arricchendo l’arredamento interno di vasellame e rivestimenti ricercati. Ha dipinto nature morte, bellissimi paesaggi della Toscana e ritratti. Cimentatosi nell’attività d’illustratore, ha realizzato espressivi manifesti per eventi culturali, manifestazioni e rappresentazioni teatrali e per molte opere del tempo creando scenografie e costumi.
Volto barbuto e i capelli scompigliati, più da intellettuale tormentato che da pittore, Galileo aveva due occhi penetranti e uno sguardo sicuro che comunicava una forte personalità artistica. Personalità che si apriva sempre a novità, senza tener conto delle tendenze del tempo. Del resto, lui stesso riteneva che non sia impossibile scindere l’uomo dall’artista, proponendosi sempre come una persona e non come un numero.
Testo tratto da Il Cimitero Monumentale della Misericordia dell’Antella – nuova guida per i 165 anni del cimitero del giornalista vaticanista Franco Mariani ©2021 all’autore e alla Misericordia dell’Antella.